La Corte Costituzionale è recentemente intervenuta su tre questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici rimettenti con riferimento ad alcuni articoli del D.Lgs. n. 23 del 4 marzo 2015, noto anche come “Jobs Act”.
Nella prima decisione, la Corte, con sentenza n. 7 del 22 gennaio 2024, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento agli artt. 3, comma 1, e 10 del D.Lgs. n. 23 del 2015, in materia di licenziamenti collettivi, nella parte in cui hanno modificato la disciplina sanzionatoria in caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero, fissando per i lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015 la sola tutela economica ed escludendo quella reintegratoria.
Le suddette norme invero, venivano considerate dal giudice a quo oggetto di possibili censure per eccesso di delega, per ingiustificata differenza di trattamento e nell’ambito di un medesimo licenziamento collettivo tra lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015 e per inadeguatezza ed insufficiente efficacia dissuasiva della mera tutela monetaria.
La Corte Costituzionale, nel respingere le censure sollevate ha ritenuto non inadeguata la tutela indennitaria prevista dal “Jobs Act” per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, licenziati al termine di una procedura collettiva di riduzione di personale in quanto non contrastante con il principio già espresso dallo stesso giudice delle leggi di “adeguato contemperamento degli interessi in conflitto” (in tal senso, ex multis, Corte Cost. n. 235/2014).
Nella seconda decisione, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 22 del 22 febbraio 2024, ha ritenuto fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all’art. 2, comma 1 del cd. “Jobs Act”, stabilendo che la tutela reintegratoria si applica a tutti i casi di nullità del licenziamento previsti dalla legge, anche se non “espressamente”.
In particolare, secondo la Corte di Cassazione rimettente poteva ritenersi violato l’art. 76 Cost. sui criteri di delega, dal momento che la legge delega riconosceva la tutela reintegratoria in tutti i casi di licenziamenti nulli senza distinzione alcuna.
La Corte Costituzionale quindi, nel ritenere fondata tale censura e violato il summenzionato criterio, ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 del D.Lgs. n. 23 del 2015 limitatamente alla parola “espressamente”.
In ultimo, nella terza decisione, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 44 del 19 marzo 2024, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Lecce con riferimento all’art. 1, comma 3 del “Jobs Act”.
Nello specifico, il giudice a quo ha rimesso la questione alla Corte, deducendo la violazione dell’art. 76 Cost., sui criteri di delega. Secondo il Tribunale l’oggetto della delega, sarebbe circoscritto alle nuove assunzioni, ossia ai lavoratori “giovani” assunti a partire dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 23 del 2015 risultando, quindi, violato nella misura in cui tale nuovo regime viene applicato anche a lavoratori assunti prima di tale data.
La Corte Costituzionale, tuttavia, nel ritenere non violato tale criterio, ha confermato la legittima applicazione del contratto a tutele crescenti ai lavoratori già in servizio alla data del 7 marzo 2015 presso piccole imprese che, solo successivamente all’entrata in vigore del “Jobs Act”, abbiano superato i limiti dimensionali di quindici lavoratori occupati nell’unità produttiva, come stabilito dall’art. 18, commi 8 e 9, Statuto dei Lavoratori. Ciò, in ragione del fatto che il legislatore delegato, nell’esercizio del suo potere di completamento del quadro della disciplina, poteva regolare anche la posizione dei dipendenti di piccole aziende, per i quali non c’era un regime di tutela reintegratoria ex art. 18 da conservare, e ciò poteva fare tenendo conto dello “scopo” della delega e del bilanciamento voluto dal legislatore delegante (ossia la non regressione della tutela reintegratoria di chi, essendo già in servizio, l’avesse alla data dell’entrata in vigore della nuova disciplina).