Con sentenza n. 86 del 23 aprile 2018, la Corte Costituzionale ha riconosciuto la natura risarcitoria e non retributiva dell’indennità dovuta al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo e mancata reintegrazione di cui all’art. 18, quarto comma L. 300/1970 come sostituito dall’art. 1 comma 42 L. 92/2012.
Ne consegue che, in caso di riforma della pronuncia, il datore potrà richiedere la ripetizione delle somme versate al lavoratore.
Tuttavia, il datore di lavoro che non esegue l’ordine di reintegrazione provvisoriamente esecutivo, può essere messo in mora dal dipendente ed essere chiamato a risarcire il danno per la mancata reintegrazione, nel periodo compreso tra la statuizione di annullamento del licenziamento e quello della sua successiva riforma.
Nel caso di specie, il Tribunale di Trento aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale, mettendo in dubbio la compatibilità tra l’art. 3 della Costituzione e l’art. 18, c. 4, l. n. 300/1970, così come modificato dalla l. n. 92/2012, nella parte in cui attribuisce natura risarcitoria all’indennità dovuta dal datore per il periodo intercorso tra la pronuncia di annullamento del licenziamento e di condanna alla reintegra fino all’effettiva ripresa dell’attività lavorativa o alla pronuncia di riforma.
Tale disposizione secondo il Giudice rimettente determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento, in relazione alla ripetibilità delle somme assegnate al lavoratore, tra la posizione del datore che ottemperi all’ordine di reintegra e quello che, invece, non vi dia esecuzione, limitandosi a versare la retribuzione a titolo risarcitorio.
La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione infondata atteso che l’ordine provvisorio di reintegrare il dipendente può essere attuato solo con la collaborazione del datore, il quale, non ottemperando a tale ordine, compie un illecito istantaneo ad effetti permanenti, dal quale deriva – a suo carico – l’obbligo di risarcire il danno subito dal lavoratore.
La Corte ha dunque stabilito che la norma denunciata è coerente con il contesto della fattispecie disciplinata, essendo l’indennità collegata ad una condotta “contra ius” tenuta dal datore e non ad una prestazione lavorativa svolta dal dipendente. Di qui la natura risarcitoria – e non retributiva – dell’indennità, e l’obbligo del lavoratore di restituirla qualora l’ordine di reintegrazione venga riformato.
La Corte ha altresì precisato che non vi è alcuna disparità di trattamento tra il datore che ottemperi all’ordine di reintegra e quello che, invece, non vi dia esecuzione: si tratta di due situazioni non omogenee e dunque non suscettibili di entrare in comparazione nell’ottica dell’art. 3 Cost.
Infatti il datore ottemperante all’ordine ottiene, quale corrispettivo dell’esborso retributivo, una controprestazione lavorativa, che manca invece al datore inadempiente.
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