Con la Legge 10 dicembre 2014, n. 183 (cd. Jobs Act), in vigore dal 16 dicembre 2014, il Parlamento ha delegato il Governo a provvedere, mediante decreti attuativi da adottare entro sei mesi dalla suddetta data di entrata in vigore, in ordine a diversi aspetti di primaria rilevanza giuslavoristica, tra cui il riordino della disciplina dei rapporti di lavoro, la riforma degli ammortizzatori sociali, il riordino dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, la semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini ed imprese, la revisione della regolamentazione a tutela della maternità e della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Peraltro, già in occasione della riunione dello scorso 24 dicembre, il Governo ha approvato gli schemi dei primi due decreti legislativi di attuazione della suddetta delega, rispettivamente in ordine alla disciplina del contratto a tutele crescenti e della Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (cd. Naspi). Appare opportuno evidenziare che tali decreti non sono ancora vigenti ed efficaci e non può escludersi che, nel corso del relativo processo di formazione legislativa, che richiederà diverse settimane ai fini del suo perfezionamento, possano subire integrazioni e correzioni. Ad ogni modo, vista la rilevanza dei temi regolamentati, si intende procedere in questa sede alla formulazione di brevi note illustrative in ordine ai principali elementi di novità contenuti nel decreto relativo al contratto di lavoro a tutele crescenti; seguirà l’illustrazione del decreto sulla cd. Naspi.
Schema di Decreto legislativo sul Contratto a Tutele Crescenti
Come premesso, particolare rilevanza assume la disciplina del nuovo “contratto a tutele crescenti”, di attuazione dell’art. 1, co. 7, lett. c), della legge delega n. 183/2014, con cui, a decorrere dalla data di entrata in vigore del pertinente decreto legislativo, potranno essere disposte le “nuove assunzioni” a tempo indeterminato di lavoratori con “qualifica di operai, impiegati o quadri” (rimanendo, quindi, esclusi i lavoratori con qualifica dirigenziale). Rispetto ai rapporti di lavoro instaurati all’esito di tali nuove assunzioni troverà applicazione un regime di tutela in caso di licenziamento illegittimo differenziato rispetto a quello, invece, tuttora efficace per i rapporti di lavoro già in essere, a cui, va ricordato, continueranno ad applicarsi le previsioni di cui al vigente art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Va parimenti rilevato che, ai sensi del secondo comma dell’art. 1 del suddetto schema di decreto, la nuova disciplina sui licenziamenti troverà, altresì, applicazione nei confronti dei lavoratori assunti in epoca precedente all’entrata in vigore del decreto legislativo in esame laddove il datore di lavoro, a seguito delle “nuove assunzioni”, abbia incrementato il proprio organico sino all’integrazione del requisito occupazionale di cui ai commi ottavo e nono del citato art. 18 (più di quindici lavoratori ). Occorre, pertanto, esaminare in rapida sintesi le previsioni in tema di tutela contro i licenziamenti illegittimi individuate nel suddetto schema di decreto, tenendo conto delle differenti tipologie di licenziamento.
Licenziamento discriminatorio
Le nuove previsioni, come individuate all’art. 2, lasciano sostanzialmente immutata la regolamentazione del licenziamento discriminatorio, come individuato e disciplinato all’art. 3 della L. n. 108/1990: tale licenziamento, infatti, a prescindere dal requisito dimensionale dell’azienda di appartenenza, dovrà considerarsi nullo ed il lavoratore potrà beneficiare, come avviene tuttora ai sensi dell’art. 18, co. 1, L. n. 300/1970, della tutela reintegratoria (tale regime troverà, inoltre, applicazione in caso di licenziamento dichiarato nullo negli altri casi previsti dalle norme vigenti o inefficace laddove disposto in forma orale). Peraltro, a seguito dell’ordine di reintegrazione disposto dal giudice del lavoro, il rapporto di lavoro si intenderà comunque risolto laddove il dipendente illegittimamente licenziato non provveda a riprendere servizio entro trenta giorni dall’invito in tal senso formulato dal datore di lavoro. In tale ipotesi, il datore di lavoro potrà essere, altresì, condannato a risarcire il danno subìto dal lavoratore mediante il pagamento di una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata nel periodo compreso dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegra (salvo l’aliunde perceptum) ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali per il periodo di estromissione dal lavoro. La suddetta indennità non potrà comunque essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione. Viene, inoltre, prevista per il dipendente che abbia ottenuto una sentenza di reintegra la possibilità di richiedere, insieme al suddetto risarcimento del danno, un’indennità pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione, non soggetta a prelievo contributivo, in luogo ed in alternativa alla stessa reintegra.
Licenziamenti per giustificato motivo o per giusta causa
A differenza di quanto previsto per il licenziamento nullo o discriminatorio, laddove il rapporto di lavoro di un lavoratore assunto a tempo indeterminato dopo l’entrata del decreto attuativo della delega di cui all’art. 1, co. 7, lett. c), L. n. 183/2014 venga risolto per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o per giusta causa senza che ne ricorrano gli estremi giustificativi, ai sensi dell’art. 3, il giudice dichiara estinto il rapporto ed il datore di lavoro verrà condannato soltanto al pagamento di un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio. Tale indennità non potrà comunque essere inferiore a quattro e superiore a ventiquattro mensilità della stessa retribuzione. In deroga a quanto sopra previsto, troverà applicazione la tutela reintegratoria esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui venga ad essere provata “l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore”. Tale previsione, tesa a far emergere il fatto materiale nella sua effettiva oggettività, va accompagnata al venire meno di ogni rilevanza della valutazione giudiziale in ordine alla eventuale sproporzione dello stesso fatto, così da permettere il drastico contenimento della discrezionalità di giudizio da parte del giudice e finanche dello stesso contenzioso in materia. In tale ipotesi, il datore, insieme alla reintegra del lavoratore, potrà essere condannato a corrispondere in favore di quest’ultimo, a titolo risarcitorio, una indennità commisurata sull’ultima retribuzione globale di fatto nel periodo compreso tra il giorno del licenziamento e la ripresa in servizio – salvo, anche in questo caso, l’aliunde perceptum – nonché a versare i contributi previdenziali ed assistenziali per il medesimo periodo. Tale indennità, per il periodo antecedente la sentenza di reintegra, non potrà comunque superare le dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. La disciplina appena considerata, da intendersi derogatoria rispetto al nuovo regime generale di natura indennitaria, sarà, altresì, applicabile in presenza di licenziamenti di cui venga ad essere accertato il difetto di giustificazione per motivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore interessato. Dovrebbe comunque rimanere escluso da tale ulteriore ipotesi derogatoria il licenziamento per superamento del periodo di comporto, cui, pertanto, dovrebbe trovare applicazione la sola tutela indennitaria. Anche nelle suddette ipotesi di applicazione della tutela reintegratoria, il lavoratore potrà richiedere, in alternativa rispetto a quest’ultima, il riconoscimento dell’ulteriore indennità risarcitoria, pari a quindici mensilità della retribuzione globale di fatto, disciplinata al terzo comma dell’art. 2 dello schema di decreto in esame. Occorre ancora evidenziare che, in forza di quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 3 del medesimo schema di decreto, ai nuovi assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti non si applicherà la procedura di conciliazione prevista dall’art. 7, L. n. 604/1966, per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (motivati per ragioni organizzative ed economiche). A questi ultimi licenziamenti, è bene ribadirlo, troverà applicazione solo la tutela indennitaria, superando così anche le modifiche apportate dalla cd. Riforma Fornero che aveva conservato la tutela reintegratoria nelle ipotesi in cui veniva giudizialmente accertato che il fatto posto a base del licenziamento fosse “manifestamente insussistente”. Quella indennitaria, pertanto, salve le residue ipotesi derogatorie rimaste e sopra richiamate, sembra affermarsi nell’ambito del suddetto schema di decreto quale forma di tutela principale in caso di licenziamento illegittimo, così da garantire alle imprese ed agli operatori maggiore certezza giuridica e soprattutto una immediata quantificazione delle conseguenze economiche del licenziamento attraverso la parametrazione all’anzianità di servizio.
Vizi formali e procedurali del licenziamento
Risulterà applicabile la sola tutela indennitaria anche nell’ipotesi in cui il licenziamento sia stato intimato senza specifica motivazione, in violazione dell’art. 2, co. 2, L. n. 604/1966, o non osservando il procedimento disciplinare disciplinato dall’art. 7, L. n. 300/1970 (art. 4). In tali casi, il rapporto di lavoro verrà dichiarato estinto alla data del licenziamento e al lavoratore verrà riconosciuta una indennità, non soggetta a prelievo previdenziale, pari a una mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio; tale indennità non potrà in ogni caso risultare inferiore a 2 e superiore a 12 mensilità della stessa retribuzione.
Revoca del licenziamento
Ai sensi dell’art. 5 dello schema di decreto, il regime sanzionatorio destinato alle “nuove assunzioni” di cui all’art. 1 non troverà applicazione laddove il licenziamento venga revocato, sempre che ciò avvenga entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’avvenuta impugnazione. In tale ipotesi, il rapporto di lavoro si intenderà ripristinato senza soluzioni di continuità ed il lavoratore avrà diritto a ricevere il trattamento retributivo maturato nel periodo antecedente la revoca.
Offerta di conciliazione
Particolare rilevanza assume, specie rispetto alle evidenti finalità di semplificazione delle conseguenze della risoluzione unilaterale dei rapporti di lavoro e di deflazione del relativo contenzioso trasfuse nello schema di decreto in esame, l’offerta di conciliazione (art. 6), attraverso cui il datore di lavoro, in caso di licenziamento di soggetti assunti dopo l’entrata in vigore dello stesso decreto, può offrire agli stessi, entro i termini per l’impugnazione stragiudiziale del medesimo licenziamento ed in sede “protetta”, un importo, non sottoposto a prelievo fiscale e previdenziale, pari ad 1 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità, da corrispondere mediante consegna al lavoratore di assegno circolare. Tale offerta è dunque basata su una scelta facoltativa del datore e non costituisce più un obbligo come avveniva invece in costanza della “Riforma Fornero” (L. n. 92/2012). Tale procedura conciliativa, inoltre, a differenza di quanto previsto dalla L. n. 92/2012 (con le previsioni di modifica dell’art. 7, L. n. 604/1966) non costituisce più uno strumento per prevenire il licenziamento, ma essa stessa si prefigge di prevenire l’instaurazione di una controversia dopo che il licenziamento sia già stato comunque comminato. In tal senso, risulta rilevante evidenziare come sia stato espressamente previsto che l’accettazione del suddetto assegno circolare da parte del lavoratore abbia l’effetto di estinguere il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e di configurare la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Tale offerta, dunque, laddove effettivamente accettata, dovrebbe permettere di porre definitivamente fine ad ogni controversia, dando certezza, giuridica ed economica, alla risoluzione dei rapporti tra le parti interessate.
Previsioni rilevanti in ordine alla quantificazione delle indennità
All’art. 8 del medesimo schema di decreto, in ordine al computo ed alla misura delle indennità e degli importi individuati ai suddetti art. 3, 4 e 6 dello schema di decreto, viene stabilito che gli stessi vadano riproporzionati in caso di “frazioni d’anno di anzianità di servizio” e, a tal fine, le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni verranno computate “come mese intero”. In termini analoghi, l’art. 7 dispone che, in caso di passaggio del lavoratore dall’appaltatore uscente a quello subentrate nell’esecuzione di un determinato servizio, l’anzianità di servizio da questi maturata verrà funzionalmente computata sull’intero periodo in cui lo stesso lavoratore sia stato comunque impiegato nell’attività appaltata. Ed ancora, si segnala che, con riferimento alle imprese con meno di 15 dipendenti – per le quali risultava già esistente il solo regime di tutela obbligatoria – l’importo delle indennità previste in caso di licenziamenti, economici o disciplinari, dovrà intendersi, ai sensi dell’art. 9, “dimezzato” rispetto a quanto invece riconosciuto per i lavoratori delle imprese di maggiori dimensioni, e non potrà in ogni caso superare il limite delle sei mensilità di retribuzione.
Disciplina relativa ai Licenziamenti Collettivi
Con riferimento ai licenziamenti collettivi, disposti ai sensi e per gli effetti degli artt. 4 e 24, L. n. 223/1991, di lavoratori cui trovino comunque applicazione le previsioni dell’emanando decreto legislativo oggetto del presente commento, va rilevato come l’art. 10 di tale decreto preveda che agli stessi trovi applicazione la tutela reintegratoria, di cui all’art. 2, solo in caso di violazione della forma scritta; la tutela indennitaria, di cui all’art. 3, co. 1, viene invece estesa, con finalità di uniformità del regime di tutela tra licenziamenti individuali e collettivi, alle diverse ipotesi di inosservanza della procedura di cui all’art. 4, co. 12, L. n. 223/1991 o dei criteri di scelta regolati dal successivo art. 5 , co. 1, di quest’ultimo testo legislativo.
Contratto di ricollocazione
In una logica di “workfare”, apprezzabile appare ancora la previsione di un contratto di ricollocazione, di cui all’art. 11 dello schema di decreto. I lavoratori illegittimamente licenziati o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo, che si impegnino ad effettuare la procedura di definizione del proprio profilo personale di occupabilità – da regolamentare con un ulteriore decreto attuativo della succitata legge delega – potranno infatti, ricevere dai Centri per l’impiego un voucher da presentare ad un’agenzia per il lavoro pubblica o privata ai fini della sottoscrizione di tale contratto di ricollocazione così da ricevere dalla stessa agenzia un’assistenza nella ricerca di una nuova occupazione, nonché iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, a fronte dell’impegno dei medesimi lavoratori a rimanere a disposizione ed a cooperare con la stessa agenzia per la realizzazione delle iniziative dalla stessa predisposte.
Aspetti di rilevanza processuale
Rispetto al regime processuale, è stato ancora stabilito che, per i licenziamenti disposti nei confronti di lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del decreto oggetto di disamina, non troverà applicazione il rito speciale introdotto dalla cd. Riforma Fornero (art. 1, commi 48-68, Legge n. 92/2012). Salve nuove eventuali disposizioni in merito, agli stessi licenziamenti troverà, pertanto, applicazione il regime generale vigente prima del 2012.
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Appare opportuno far seguire alle suddette note di commento delle previsioni del decreto sul contratto a tutele crescenti, una breve descrizione dello sgravio contributivo introdotto con l’art. 1, co. 118, della cd. Legge di Stabilità per il 2015 (L. n. 190/2014), in vigore dal 1° gennaio 2015, in relazione alle nuove assunzioni che verranno disposte nel settore privato nel 2015 con contratti di lavoro a tempo indeterminato (e con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico).
I datori di lavoro, a fronte di tali assunzioni decorrenti dal 1° gennaio 2015 con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2015, potranno, infatti, beneficiare, per un periodo di 36 mesi, dell’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a proprio carico entro il limite di 8.060 euro su base annua.
Tale esonero non spetta per le assunzioni di lavoratori che siano risultati occupati a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro nei sei mesi precedenti, né di coloro per cui il medesimo esonero sia stato già goduto in forza di una precedente assunzione; ed ancora, non ne potranno beneficiare quei datori di lavoro che, anche attraverso società collegate o controllate, anche per interposta persona, abbiano già in essere con gli stessi lavoratori contratti di lavoro a tempo indeterminato nei 3 mesi antecedenti la data di entrata in vigore della succitata L. n. 190/2014.
Al fine di evitare abusi o fenomeni di distorsione del mercato, è stato altresì stabilito che l’esonero in esame, comunque economicamente significativo, non potrà cumularsi con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previste dall’ordinamento vigente. Fermo il tenore letterale del suddetto art. 1, co. 118, va ancora aggiunto come dello stesso esonero dovrebbero poter beneficiare i datori che intendano assumere a tempo indeterminato lavoratori precedentemente occupati a tempo determinato o con tipologie contrattuali di natura autonoma.
L’ambito di applicazione del suddetto esonero – che, come premesso, interessa le nuove assunzioni a tempo indeterminato disposte dai datori di lavoro privati a partire dal 1° gennaio 2015 ed entro il 31 dicembre 2015 – non si sovrappone al momento con quello del decreto sul contratto a tutele crescenti, visto che quest’ultimo non è ancora in vigore.
In ragione di quanto sopra, onde evitare che gli assunti medio tempore non rientrino nelle previsioni dell’emanando decreto legislativo sul contratto a tutele crescenti, è opportuno, ove possibile, posticipare ogni eventuale assunzione all’entrate in vigore della nuova normativa in materia di licenziamenti.
Ferme le considerazioni appena esposte, forniremo quanto prima ulteriori approfondimenti sui contenuti della Legge di Stabilità per il 2015 in materia di lavoro.