Il Tribunale di Venezia, sezione lavoro, con decreto n. 3463 dell’8 luglio 2020 (clicca qui) ha rigettato il ricorso ex art. 28 L. n. 300/1970 proposto dalla sigla sindacale di riferimento che aveva lamentato l’esclusione da parte del datore di lavoro (nella specie, un Comune) dal godimento dei buoni pasto dei lavoratori in “smart working” senza previa contrattazione con le OO.SS. ritenendo lese le prerogative sindacali.
Il Giudice veneziano ricorda che, per effetto dell’art. 87, comma 1 del D.L. n. 18/2020, conv. con L. n. 27/2020, nell’ambito della Pubblica Amministrazione, lo smart-working, nel periodo emergenziale, non è il frutto di una scelta discrezionale, ma rappresenta la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa e che, in precedenza, il DPCM dell’11 marzo 2020 aveva previsto che le Pubbliche Amministrazioni fossero tenute ad assicurare lo svolgimento in via ordinaria delle prestazioni lavorative in forma agile del proprio personale dipendente.
Ciò fermo, in via generale, il Giudice esclude che il buono pasto faccia parte della retribuzione richiamando a tal fine una sentenza della Suprema Corte (n. 31137/2019 che appunto non lo considera elemento della retribuzione) trattandosi piuttosto di una “agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale”.
In sostanza, l’erogazione dei buoni pasto risulta connessa alle ipotesi di esecuzione della prestazione lavorativa in azienda, essendo finalizzata a consentire al beneficiario di conciliare le esigenze di servizio con quelle personali, agevolando la fruizione del pasto nei casi in cui non sia previsto un servizio di mensa aziendale.
Nè rileva per la soluzione contraria, la disposizione di cui all’art. 20 della L. n. 81/2017 che, nel disciplinare il lavoro agile, prevede che il lavoratore ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda posto che si tratta di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro, non rientrando quindi nella nozione di trattamento economico e normativo di cui sopra.
In definitiva, dunque, secondo il Giudice del lavoro di Venezia, i buoni pasto non sono dovuti al lavoratore in smart-working e di conseguenza la mancata corresponsione degli stessi non doveva essere oggetto di contrattazione e confronto con le sigle sindacali.