LA LEGGE DI CONVERSIONE DEL “DECRETO RILANCIO” ESTENDE I TERMINI PER L’ESAME CONGIUNTO NELLE IPOTESI DI TRASFERIMENTO D’AZIENDA: CONSEGUENZE ED ASPETTI PROBLEMATICI – CUI PRODEST?

A chi giova la “temporanea …”, quanto estemporanea, proroga dei termini per l’esame congiunto previsto dall’art. 47, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428?
Non è chiaro, ma si può correlare all’obiettivo di ridare centralità alla concertazione sindacale, di molto ridimensionata ante COVID-19, che il Legislatore dell’emergenza pandemica, con indubbia coerenza, sta, in tutti i modi, perseguendo alla ricerca del necessario consenso.
A tale proposito, ricordiamo sia la vicenda kafkiana dell’obbligo/non obbligo della consultazione sindacale preventiva e dell’accordo sindacale per il ricorso alla CIGO, alla CIGD e all’Assegno Ordinario (FIS), da parte di datori di lavoro obbligati a sospendere le proprie attività, sia l’altrettanto fumosa previsione contenuta nell’art. 1, comma 2, lettera l) del D.L. Liquidità (D.L. 8 aprile 2020, n. 23) che impone “[al]l’impresa che beneficia della garanzia” – rilasciata da SACE S.p.A. – di assumere, “l’impegno a gestire i livelli occupazionali attraverso accordi sindacali”. (cfr. i nostri commenti del 15 aprile e del 28 maggio 2020)
Ribadiamo, nel contempo, che se il coinvolgimento delle Organizzazioni Sindacali e, più in generale, delle c.d. Parti sociali è pienamente condivisibile nel momento in cui è necessario tutelare il bene primario della salute ed individuare tutte le possibili misure atte a garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, contenendo ogni possibile forma di contagio, non lo è altrettanto ove venga imposto alle imprese, già duramente provate, finanziariamente ed economicamente, dalla situazione in atto, di assumere ulteriori obblighi e di sottostare a divieti, quale quello di non licenziare (il c.d. “blocco dei licenziamenti”), sino al 17 agosto p.v., di cui è già stata preannunciata la proroga.
Obblighi e divieti mai visti né immaginati nella pur vasta legislazione in materia di lavoro di un paese liberale quale il nostro. Si tratta, per tutta evidenza, di un preciso disegno politico di dirigismo sociale.
Ma veniamo all’ultimo, ma probabilmente non ultimo, tassello di questa politica.
La legge n. 77 del 17 luglio 2020, di conversione del c.d. Decreto Rilancio (D.L. n. 34/2020), è intervenuta sull’art. 80, rubricato “Modifiche all’articolo 46 in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo”, confermando quanto già disposto al comma 1 ed introducendo il nuovo comma 1-bis.
L’art. 80, comma 1-bis, del D.L. Rilancio ha introdotto, come noto, una nuova disposizione di natura emergenziale, in materia di trasferimento d’azienda: sino al 17 agosto 2020 la durata dell’esame congiunto di cui all’art. 47, comma 2, L. 428/1990, in caso di mancato accordo, non potrà essere inferiore a 45 giorni, rispetto ai 10 giorni previsti dalla norma stessa, sin dal 1990.
La norma si riferisce alla procedura di consultazione obbligatoria da esperire nelle ipotesi in cui si intenda effettuare, ex art. 2112 c.c., un trasferimento d’azienda o di un suo ramo, in cui siano complessivamente occupati più di 15 lavoratori. In tal caso, difatti, il cedente ed il cessionario sono tenuti ad inviare, almeno 25 giorni prima del perfezionamento dell’atto da cui deriva il trasferimento o del raggiungimento di un’intesa vincolante tra le parti, una comunicazione per iscritto alle rappresentanze sindacali costituite nelle unità produttive interessate ed ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato.
Come altrettanto noto, l’informativa deve riguardare la data del trasferimento, i motivi, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori, nonché le eventuali misure previste per questi ultimi. Entro 7 giorni dalla ricezione di tale comunicazione, le rappresentanze sindacali o i sindacati di categoria hanno facoltà di richiedere al cedente ed al cessionario lo svolgimento di un esame congiunto, che deve tenersi entro i successivi 7 giorni. Qualora, decorsi 10 giorni dall’inizio dell’esame, la trattativa sia stata infruttuosa e non sia stato, pertanto, raggiunto un accordo, la consultazione si intende esaurita e cedente e cessionario possono portare a conclusione la preannunciata operazione (trasferimento o affitto dell’azienda o di un suo ramo, fusione, scissione o retrocessione dell’azienda o del ramo affittato)
La legge di conversione interviene, ora, su tale ultimo termine, prolungandolo da 10 a 45 giorni.
Poco limpido appare anche il riferimento al periodo di vigenza temporale della norma: la disposizione non esplicita, infatti, se la locuzione “Fino al 17 agosto 2020” debba essere interpretata nel senso di coinvolgere tutte le procedure di esame congiunto iniziate entro tale data, oppure soltanto quelle pendenti fino al 17 agosto 2020, con cessazione dell’efficacia dal giorno successivo.
Come detto, la modifica legislativa si inserisce nel solco delle misure emergenziali, già emanate nel corso degli ultimi mesi, e la sua ratio sembra da ricercarsi, oltre che nella finalità di rilancio della concertazione sindacale, in quella di perseguire, quanto più possibile, l’obiettivo del mantenimento dell’occupazione: l’estensione del periodo di trattativa, infatti, differisce il termine entro il quale la consultazione può dirsi esaurita, spostandolo a data successiva al 17 agosto 2020, che rappresenta – allo stato – la medesima data finale di vigenza del blocco dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, di preclusione all’avvio delle procedure di licenziamento collettivo e di sospensione di quelle in corso.
Se questa è la ratio legis, non si comprende, tuttavia, come tale obiettivo possa essere perseguito prolungando, almeno per ora, di 35 giorni il periodo di durata della procedura di consultazione sindacale che, giova ricordare, tranne che nei casi previsti dall’art. 47, commi 4 bis e 5, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, ha natura meramente consultiva e non necessita di accordo. Senza contare che, molto di frequente, la conclusione di trattative, magari complesse e protrattesi nel tempo, che portano alla sottoscrizione di un’intesa vincolante, oltre a dover essere comunicata con almeno 25 giorni di anticipo, non può essere subordinata allo spirare di un termine così dilatato.
Ciò è tanto più vero se, come spesso accade, il trasferimento del ramo azienda o dell’intera azienda non comporta deroghe all’art. 2112 che, giova ricordare, prevede: “In caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello.” E, per buona pace dell’ipotizzato obiettivo del mantenimento dell’occupazione, la norma stessa prevede espressamente che “… il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento.”.
Ma, anche nelle ipotesi in cui, almeno a livello normativo nazionale, sarebbe possibile derogare all’art. 2112 c.c., prevedendo, in sede di accordo sindacale, il trasferimento al cessionario di una parte soltanto dei rapporti di lavoro rientranti nel perimetro di cessione, il licenziamento di quelli rimasti in forza al cedente non sarebbe, di certo, attuabile nell’immediatezza dell’avvenuta cessione né, peraltro, sarebbe impedito dal mero prolungamento, di 35 giorni, dei termini dell’esame congiunto.
È da rilevare, infine, che gli accordi raggiunti in sede di esame congiunto, ai sensi dell’art. 47, comma 4 bis (nel caso di aziende in stato di crisi, in amministrazione straordinaria con continuazione o mancata cessazione dell’attività, in concordato preventivo o per le quali sia stato omologato l’accordo di ristrutturazione dei debiti) e comma 5 della L. 428/1990 (nel caso di imprese fallite o per le quali sia stato omologato il concordato preventivo consistente nella cessione di beni, sottoposte a liquidazione coatta amministrativa o ad amministrazione straordinaria, in cui non sia stata disposta la continuazione dell’attività o sia cessata), sovente prevedono il mantenimento, totale o parziale, dell’occupazione: in caso di mancato perfezionamento dell’accordo, anche in tali ipotesi, l’esame congiunto non potrà ritenersi regolarmente esperito prima di 45 giorni dal suo inizio.
Tuttavia, la possibilità che tali accordi possano incidere sui livelli occupazionali, nonostante il chiaro dettato normativo del ricordato art. 47, comma 4 bis, è stata negata da alcuni giudici di merito e, proprio di recente, con la sentenza n. 10414 del 1° giugno 2020, la Corte di Cassazione ha affermato che, nell’ipotesi di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia stato accertato lo stato di crisi ai sensi dell’art. 2, c. 5, lett. c), legge n. 675/1977, o per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o mancata cessazione dell’attività, l’accordo sindacale ex art. 47, comma 4 bis, legge n. 428/1990 può prevedere deroghe all’art. 2112 c.c. in relazione alle condizioni di lavoro, ma non anche in merito alla continuità dei rapporti di lavoro, in quanto non risulta consentito il trasferimento al cessionario soltanto di una parte dei lavoratori della cedente. Secondo la Suprema Corte detta interpretazione dell’art. 47, comma 4 bis, legge n. 428/1990 è conforme alla Direttiva 2001/23/CE ed alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, nel senso che, nell’ambito delle predette procedure, gli accordi sindacali non possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento d’azienda.
Analoga previsione è, peraltro, contenuta nell’art. 368 Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (introdotto dal D. Lgs. 12 gennaio 2019 n. 14, pubblicato in G.U. il 14 febbraio 2019, la cui entrata in vigore è stata differita dall’agosto 2020 al 1 settembre 2021) che, nel sostituire il ricordato comma 4-bis dell’art. 47, ha espressamente previsto che l’accordo sindacale può derogare all’art. 2112 c.c. solo “ …… per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, qualora il trasferimento riguardi aziende ……”, escludendo, quindi, la possibilità di incidere sui livelli occupazionali.
Queste interpretazioni e modifiche normative, pur comprensibili dal punto di vista sociale, vanificano le finalità di salvaguardia occupazionale, anche parziale, perseguite dalle procedure di amministrazione straordinaria o concorsuali, poiché è da escludere che l’acquirente dell’azienda dichiarata insolvente o di un suo ramo d’azienda, sia disposto a mantenere inalterati i livelli occupazionali in essere presso la cessionaria.
Pertanto, se, da un lato, l’intervento legislativo attuato in sede di conversione porta con sé numerose criticità e difficoltà interpretative, dall’altro lato è di tutta evidenza ed innegabile il suo impatto sulla libertà di iniziativa economica delle Aziende che, pur costituzionalmente tutelata, risulta in tal modo ulteriormente compromessa.