Il Ministero del Lavoro, con circolare n. 17 del 31 ottobre 2018, pur fornendo dettagliati chiarimenti in ordine alle disposizioni del D. L. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con Legge 9 agosto 2018, n. 96 (cd. Decreto Dignità) che, come noto, ha introdotto rilevanti novità alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e della somministrazione di lavoro, a modifica del D. Lgs. 15 giugno 2018, n. 81, non ha fornito alcun chiarimento interpretativo, come ci si attendeva, sulle nuove causali introdotte dalla norma appena citata nel novellato art. 19, comma 1, lett a) (ossia le “esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze di sostituzione di altri lavoratori”); o b) (ossia le “esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria”), lasciando di fatto ogni problematica interpretativa all’intervento dei Giudici del lavoro.
Analizzando il contenuto della circolare, il Ministero, dopo aver ricordato che, secondo le nuove disposizioni normative, le parti possono stipulare liberamente un contratto di lavoro a tempo determinato di durata non superiore a 12 mesi, mentre in caso di durata superiore tale possibilità è riconosciuta esclusivamente in presenza delle ragioni indicate dal novellato art. 19, comma 1 lett. a) o b) del D. Lgs. n. 81/2015 (pena la trasformazione del contratto in rapporto a tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di 12 mesi), ha precisato che, per stabilire se ci si trovi in presenza dell’obbligo di indicare le ragioni, si deve tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende eventualmente prorogare.
Il Decreto Dignità non ha, invece, modificato la previsione di cui all’articolo 19, comma 3, del D.Lgs. n. 81/2015 ai sensi del quale, raggiunto il limite massimo di durata del contratto a termine, le stesse parti possono stipulare un ulteriore contratto della durata massima di 12 mesi presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Sul punto, il Ministero ha precisato che, anche a tale contratto, si applica la nuova disciplina dei rinnovi, la quale impone sempre l’obbligo di individuazione della causale, ai sensi degli articoli 21, comma 1, e 19, comma 1, del D. Lgs. n. 81/2015.
In ordine al ruolo della contrattazione collettiva, il Ministero ha precisato che i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (secondo la definizione degli stessi contenuta all’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015) potranno continuare a prevedere una durata diversa, anche superiore, rispetto al nuovo limite massimo dei 24 mesi e che le previsioni contenute nei contratti collettivi stipulati prima del 14 luglio 2018, che – facendo riferimento al previgente quadro normativo – abbiano previsto una durata massima dei contratti a termine pari o superiore ai 36 mesi, mantengono la loro validità fino alla naturale scadenza dell’accordo collettivo.
Secondo il Ministero, il Decreto-Legge n. 87, non ha invece attribuito alla contrattazione collettiva alcuna facoltà di intervenire sul nuovo regime delle condizioni di cui all’art. 19, comma 1 lett. a) e b).
Il Ministero si esprime anche sul contributo addizionale, chiarendo che, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del Decreto-Legge n. 87 (come modificato dalla legge di conversione), a decorrere dal 14 luglio 2018 (data di entrata in vigore del medesimo decreto), il contributo addizionale a carico del datore di lavoro – pari all’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali applicato ai contratti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato – è incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione. Pertanto, precisa il Ministero, “al primo rinnovo la misura ordinaria dell’1,4% andrà incrementata dello 0,5%. In tal modo verrà determinata la nuova misura del contributo addizionale cui aggiungere nuovamente l’incremento dello 0,5% in caso di ulteriore rinnovo”.
In ordine alla somministrazione di lavoro a termine cui, come noto, è stata estesa la disciplina del lavoro a termine con la sola eccezione delle previsioni contenute agli articoli 21, comma 2 (pause tra un contratto e il successivo, c.d. stop and go), 23 (limiti quantitativi al numero dei contratti a tempo determinato che può stipulare ogni datore di lavoro) e 24 (diritto di precedenza), il Ministero, è intervenuto, precisando che nessuna limitazione è stata introdotta per l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore, “Pertanto in questo caso, afferma il Ministero, “ai sensi dell’articolo 31 del citato decreto legislativo n. 81, tali lavoratori possono essere inviati in missione sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori senza obbligo di causale o limiti di durata, rispettando i limiti percentuali stabiliti dalla medesima disposizione”.
Il Ministero ha precisato, inoltre, che il rispetto del limite massimo di 24 mesi – ovvero quello diverso fissato dalla contrattazione collettiva – entro cui è possibile fare ricorso ad uno o più contratti a termine o di somministrazione a termine, deve essere valutato con riferimento, non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche ai rapporti con il singolo utilizzatore, dovendosi a tal fine considerare, sia i periodi svolti con contratto a termine, sia quelli in cui sia stato impiegato in missione con contratto di somministrazione a termine, per lo svolgimento di mansioni dello stesso livello e categoria legale, con la conseguenza che, raggiunto tale limite, il datore di lavoro (ossia il somministratore) non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale.
Il Ministero chiarisce, altresì, che il computo dei 24 mesi di lavoro deve tenere conto di tutti i rapporti di lavoro a termine a scopo di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma.
Quanto alle condizioni di cui all’art. 19, comma 1 lett. a) o b) del Decreto che giustificano il ricorso alla somministrazione a termine in caso di contratti di durata superiore a 12 mesi e dei relativi rinnovi, il Ministero ha ricordato che, ai sensi dell’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge, esse si applicano esclusivamente con riferimento all’utilizzatore. “Pertanto”, ha affermato il Ministero, “in caso di durata della somministrazione a termine per un periodo superiore a 12 mesi presso lo stesso utilizzatore, o di rinnovo della missione (anche in tal caso presso lo stesso utilizzatore), il contratto di lavoro stipulato dal somministratore con il lavoratore dovrà indicare una motivazione riferita alle esigenze dell’utilizzatore medesimo”.
Il Ministero ha precisato, poi, che, invece, non sono cumulabili a tale fine i periodi svolti presso diversi utilizzatori, fermo restando il limite massimo di durata di 24 mesi del rapporto (o la diversa soglia individuata dalla contrattazione collettiva) e ha evidenziato che l’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge, non solo quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore aveva instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria.
In ordine al limite quantitativo dei lavoratori somministrati, il Ministero ha ricordato, inoltre, che la legge di conversione n. 96 del Decreto-Legge n. 87 ha, per la prima volta, introdotto un limite all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine, prevedendo la necessità di rispettare una proporzione tra lavoratori stabili e a termine presenti in azienda, ancorché derogabile dalla contrattazione collettiva applicata dall’utilizzatore (cfr. art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 novellato, secondo cui ferma restando la percentuale massima del 20% di contratti a termine, possono essere presenti nell’impresa utilizzatrice lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori inviati in missione per somministrazione a termine, entro la percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore).
Infine, il Ministero si è pronunciato (sebbene a ridosso della scadenza), sul cd. periodo transitorio, che, in base alla legge di conversione n. 96 sottraeva le proroghe ed i rinnovi all’applicazione del nuovo regime introdotto dal Decreto Legge n. 87 fino al 31 ottobre 2018, chiarendo solo che tale periodo transitorio trovi (rectius, avrebbe trovato) applicazione anche con riferimento alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.
Cristina Petrucci
Per consultare la circolare n. 17/2018 cliccare QUI.