Con la sentenza del 13 dicembre 2022, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha, per la prima volta, riconosciuto la legittimità del licenziamento irrogato ad un dipendente che, tramite il GPS installato dal datore di lavoro sull’auto aziendale per controllare le spese aziendali e garantire, così, il corretto funzionamento dell’azienda, aveva cercato di falsificare i dati del chilometraggio relativo a tale veicolo (ad uso promiscuo), per trarre un illecito vantaggio economico.
In particolare, sia il Giudice di primo grado, che la Corte d’Appello con riferimento all’eccezione d’illegittimità del trattamento dei dati rilevati dal suddetto dispositivo GPS sollevata dal dipendente, avevano statuito che “l’uso da parte della società di un dispositivo GPS è un mezzo legittimo che non rientra nell’ambito del monitoraggio remoto e non viola la privacy. Pertanto, i dati raccolti da questo dispositivo sono validi e giustificano l’imputazione dei fatti che sono stati descritti nella nota relativa […], e che sono stati ritenuti accertati.”
A fronte delle suddette statuizioni, la questione è stata portata dal lavoratore all’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo affinché deliberasse se l’elaborazione dei dati di geolocalizzazione ottenuti dal sistema GPS installato sul veicolo aziendale e l’utilizzo di tali dati per giustificare il licenziamento avessero violato il diritto al rispetto della vita privata. In particolare, il lavoratore ha lamentato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che ha come scopo primario, quello di proteggere l’individuo da interferenze arbitrarie da parte delle Autorità pubbliche.
La Corte Europea ha evidenziato che i Giudici nazionali avevano accertato: 1) che il lavoratore era stato informato che il veicolo a lui fornito in dotazione era stato munito di un dispositivo GPS; 2) che tale dispositivo era finalizzato, esclusivamente, a controllare i chilometri percorsi nell’esercizio dell’attività; 3) che il lavoratore era stato avvisato che in caso di contrasto tra i dati chilometrici forniti dal GPS e quelli comunicati dallo stesso, si sarebbe avviato un procedimento disciplinare nei suoi confronti, come effettivamente avvenuto.
Inoltre, la Corte Europea ha rilevato che il lavoratore era stato sanzionato dall’azienda in quanto, in primo luogo, aveva aumentato i chilometri percorsi a titolo professionale, al fine di occultare i chilometri percorsi in privato, in secondo luogo, non aveva rispettato l’orario di lavoro a cui era tenuto. La stessa ha concluso che, conservando solo i dati di geolocalizzazione relativi alla distanza percorsa, la società avesse ridotto l’entità dell’intrusione nella vita privata del lavoratore a quanto strettamente necessario per lo scopo perseguito, vale a dire il controllo delle spese aziendali.
Sulla base di tali presupposti, la Corte Europea ha pertanto concluso, che i Giudici nazionali hanno correttamente garantito il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata.
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