Con sentenza n. 1853 del 10 settembre 2018 il Tribunale di Milano, seguendo la linea già tracciata alcuni mesi fa dal Tribunale di Torino, ha riconosciuto la natura autonoma del lavoro dei cd. riders addetti alle consegne di cibo a domicilio.
In primo luogo, nella specie, la subordinazione è stata esclusa perché il ricorrente (al quale era stato conferito l’incarico di collaborazione coordinata e continuativa come addetto alla consegna di cibo a domicilio), era libero di decidere se e quando lavorare, potendo stabilire autonomamente, sia la quantità che la collocazione temporale della propria prestazione, nonché i giorni di lavoro e quelli di riposo, elementi questi, ritenuti incompatibili dal Giudice con il vincolo della subordinazione.
Inoltre, si legge nella motivazione della sentenza, tale incompatibilità non avrebbe potuto essere superata nemmeno dal fatto che le modalità di esecuzione dell’attività lavorativa fossero standardizzate in base a regole prefissate dalla società atteso che, anche nel rapporto di lavoro autonomo, il committente impartisce istruzioni in ordine al contenuto e agli obiettivi dell’incarico affidato e standard quali/quantitativi, verificando il rispetto degli stessi da parte del prestatore.
Il Tribunale di Milano ha ritenuto, poi, che il sistema di attribuzione di punteggi al lavoratore in base alla sua disponibilità ed ai giudizi della clientela sul servizio ricevuto, non poteva ritenersi in alcun modo assimilabile all’esercizio del potere disciplinare datoriale.
Né ancora, secondo il Tribunale di Milano, la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato avrebbe potuto desumersi dai cd. indici sussidiari atteso che, nella specie, questi non erano sufficienti ad asseverare la sussistenza di un rapporto di lavoro siffatto (è stato riscontrato, infatti, solo il carattere ricorrente, ossia continuativo, della prestazione e l’utilizzo di alcuni strumenti di lavoro forniti dalla società, tra cui l’applicativo informatico, il contenitore termico per i cibi ed il caricabatteria portatile).
Per il resto, il ricorrente non era tenuto ad osservare un orario di lavoro fisso imposto dalla società, né doveva tenersi a disposizione di quest’ultima, e quindi non era stabilmente inserito nell’organizzazione aziendale.
Inoltre, il ricorrente utilizzava per le consegne un mezzo proprio e non percepiva un corrispettivo mensile fisso e predeterminato, ma variabile, in funzione del numero e della tipologia di consegne effettuate mese per mese e, dunque, correlato non al tempo di messa a disposizione delle energie lavorative, bensì ai risultati conseguiti.
Alla luce di tutti questi elementi di fatto, pertanto, il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda del “rider” di qualificazione del rapporto come lavoro subordinato.
Cristina Petrucci e Valentina Besutti
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