Con sentenza n. 1 del 2 gennaio 2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla natura discriminatoria e/o illecita della condotta di un’azienda, consistita nell’aver trasferito ad un diverso stabilimento produttivo l’80% degli iscritti ad una medesima organizzazione sindacale.
La Corte, innanzitutto, ha ribadito che, ai fini della legittimazione alla proposizione del ricorso ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori, è necessaria la sussistenza del requisito della “nazionalità” dell’organizzazione sindacale, individuabile laddove quest’ultima eserciti un’azione diffusa a livello nazionale. Quindi, la stessa Corte Suprema, considerando che l’affiliazione sindacale debba essere inclusa tra le “convinzioni personali” tutelate dalla normativa in materia antidiscriminatoria (D. Lgs. 216/2003), ha affermato l’applicabilità del regime probatorio agevolato proprio di tale materia anche nelle ipotesi di discriminazione per motivi sindacali.
Per l’effetto, la Corte ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che la Corte d’Appello non avesse correttamente valutato, in applicazione del predetto criterio di agevolazione probatoria, l’assenza di discriminatorietà.
In tale ottica, pertanto, secondo i Giudici di legittimità, il comportamento datoriale che leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, pur senza la necessità di uno specifico intento lesivo, integra gli estremi della condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.