Con le sentenze n. 13606 del 30 maggio 2017 e n. 13379 del 26 maggio 2017, la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui l’avvenuta soppressione di una posizione lavorativa integra una legittima ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo solo qualora il datore di lavoro abbia preventivamente accertato l’assoluta impossibilità di ricollocare concretamente il lavoratore in una posizione analoga, o anche inferiore, a quella divenuta in esubero (cd. obbligo di repechage). A conferma di ciò, la tutela della conservazione del posto di lavoro prevale anche sull’interesse al grado di professionalità ricoperto dal lavoratore.
Nei casi in oggetto, la Corte di legittimità ha ritenuto ambedue i licenziamenti illegittimi affermando, in un caso, come all’interno di un medesimo gruppo societario ci fosse un ulteriore ristorante che avrebbe potuto offrire al lavoratore, licenziato, lo stesso inquadramento contrattuale del ristorante che era stato chiuso, a nulla rilevando dunque, in termini di equivalenza professionale, il maggior prestigio di quest’ultimo.
Nella seconda ipotesi, la Corte ha affermato che qualora il dipendente licenziato, durante il rapporto di lavoro, abbia sempre svolto mansioni promiscue, anche inferiori a quelle previste da contratto, l’obbligo di repêchage in capo ad datore di lavoro si sarebbe dovuto estendere anche a queste ultime, svolte abitualmente dal medesimo, per le quali, quindi, il consenso ad un patto di demansionamento poteva desumersi dall’ordinario svolgimento delle stesse.