Con sentenza n. 26454 del 29 settembre 2021, la Suprema Corte ha stabilito che, nell’ambito della procedura di licenziamento collettivo la disposizione prevista dall’art. 5, comma 2, L. n. 223 del 1991, secondo cui “l’impresa non può licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione“, deve essere interpretata letteralmente.
In particolare, la Corte di Cassazione – confermando quanto stabilito dalla Corte d’Appello – ha precisato che il confronto da operare al fine di individuare il personale da espungere dal ciclo produttivo deve essere circoscritto all’ambito delle mansioni oggetto di riduzione, cioè all’ambito aziendale interessato dalla procedura, così da assicurare la permanenza in proporzione della quota di occupazione femminile sul totale degli occupati.
Pertanto, non è necessaria una comparazione fra numero di lavoratori dei due sessi prima e dopo la collocazione in mobilità; la norma impone piuttosto di verificare la percentuale di donne lavoratrici e poi consente di mettere in mobilità un numero di dipendenti nel cui ambito la componente femminile non deve essere superiore alla percentuale precedentemente determinata.