La Corte di Cassazione, con sentenza n. 20436 dell’11 ottobre 2016, in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha dichiarato che il lavoratore non ha l’onere di segnalare una possibilità di ricollocazione nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale, in quanto l’ interpretazione opposta non è coerente con la ratio che sorregge l’art. 6 della Legge 604/66.
I Giudici della Supreme Corte hanno infatti precisato che il lavoratore una volta provata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato risolto dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo, deve solo allegare l’assenza della giusta causa o del giustificato motivo oggettivo. Sarà poi il datore di lavoro a dover dimostrare il fatto estintivo, vale a dire l’esistenza di una giusta causa o un giustificato motivo oggettivo, ivi compresa l’impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni analoghe.
La Corte, dunque, sul presupposto che “il lavoratore non ha accesso al quadro complessivo della situazione aziendale per verificare dove e come potrebbe essere ricollocato”, ha cassato la sentenza che aveva rigettato il ricorso del lavoratore per non aver assolto agli oneri di collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage.