La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10435 del 2 maggio 2018, in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ha affermato che “la verifica del requisito della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” concerne entrambi i presupposti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e, quindi, sia le ragioni inerenti all’attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore. La “manifesta insussistenza” va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti a fronte della quale il giudice può applicare la disciplina di cui al medesimo art. 18, comma 4, ove tale regime sanzionatorio non sia eccessivamente oneroso per il datore di lavoro”.
In sostanza, la Suprema Corte, riconosce al giudice la facoltà, ai sensi dell’art. 18 co. 7 Statuto dei Lavoratori, in ipotesi di manifesta insussistenza di uno dei due requisiti sopra indicati, di assoggettare il datore alla reintegrazione nel posto di lavoro oppure al risarcimento del danno. La scelta del regime sanzionatorio da applicare, viene precisato, deve essere motivata sulla base del concetto civilistico dell’ “eccessiva onerosità”, in particolare il giudice di merito deve valutare se la tutela reintegratoria sia compatibile o meno con la struttura organizzativa medio tempore assunta dall’impresa.
Nella specie è stata applicata la tutela indennitaria ritendendo, sulla base di quanto accertato dalla Corte territoriale, che era stata dimostrata l’esigenza di riorganizzazione aziendale in diretta connessione con i dati di bilancio negativi ma ritenendo insufficientemente assolto l’onere probatorio relativo all’obbligo di “repechage”.