Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 30985 del 27 dicembre 2017, nel dirimere un annoso contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che la contestazione disciplinare tardiva comporta l’illegittimità del provvedimento espulsivo e conseguentemente il datore di lavoro dovrà erogare al dipendente solo un’indennità risarcitoria di importo compreso tra le 12 e le 24 mensilità della retribuzione globale di fatto prevista dall’art. 18 della L. 300/1970 così come modificato dal comma 2 dell’art. 1 della L. 92/2012.
Nell’affermare tale principio, le Sezioni Unite respingono, quindi, quell’orientamento secondo cui la tardività della contestazione farebbe venire meno uno degli elementi costitutivi del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto la mancanza di tempestività della contestazione o del licenziamento, induceva a ritenere che il datore di lavoro avesse soprasseduto al licenziamento stesso (da ultimo, Cass. 2513/2017 che addirittura ha affermato la insussistenza di un fatto non tempestivamente contestato dal datore di lavoro con applicazione della tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 del novellato Statuto dei lavoratori).
Le Sezioni Unite accolgono, invece, quell’orientamento che vede la tardività della contestazione in un vizio che si concretizza piuttosto in un “inadempimento della parte datoriale ai generali doveri di correttezza e buona fede nei rapporti obbligatori di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. che attiene alla fase successiva ed attuativa della comunicazione del provvedimento espulsivo, inadempimento sanzionabile ai sensi del novellato art. 18 citato con la tutela indennitaria “forte”. Ove, invece, la legge avesse previsto termini precisi per la contestazione dell’addebito disciplinare, la relativa violazione (trattandosi di violazione procedurale), ricadrebbe nell’alveo di applicazione del comma sesto dell’art. 18 citato (nuova formulazione) che prevede la tutela indennitaria “limitata” con il pagamento di una somma compresa tra le 6 e le 12 mensilità.
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