La Corte di Cassazione, con sentenza n. 26467 del 21 dicembre 2016, ha ribadito il principio per cui, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo per soppressione del posto di lavoro, il datore di lavoro, in presenza di altre posizioni disponibili, “in conformità al principio di correttezza e buona fede nella esecuzione del contratto, è tenuto a prospettare al lavoratore la possibilità di un impiego in mansioni inferiori quale alternativa al licenziamento ed a fornire la relativa prova in giudizio”, anche qualora il lavoratore non abbia preventivamente offerto la propria disponibilità a svolgere tali mansioni.
In senso conforme, la Corte Suprema, con sentenza n. 618 del 12 gennaio 2017, ha ribadito sempre in tema di obbligo di “repechage”, l’impossibilità di configurare a carico del lavoratore l’onere di segnalare al datore di lavoro una sua possibile ricollocazione nell’ambito dell’assetto organizzativo aziendale.
Ciò, infatti, determinerebbe una parziale inversione dell’onere probatorio in contrasto con la lettera e la “ratio” che sorregge l’art. 5 Legge n. 604/1966, secondo cui tale prova è posta esclusivamente a carico della parte datoriale e sarebbe, altresì, in contrasto con il principio della vicinanza della prova, inteso come apprezzamento dell’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla.