La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13199 del 25 maggio 2017, ha confermato il principio secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa, nel valutare se la violazione addebitata al lavoratore abbia compromesso la fiducia necessaria ai fini della permanenza del rapporto di lavoro e, quindi, costituisca giusta causa di licenziamento, è necessario tenere presente che l’intensità della fiducia richiesta è diversa a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono; il fatto concreto va valutato nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante alla potenzialità del medesimo di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento.
La Corte di Cassazione ha precisato, altresì, che, qualora vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il Giudice potrà individuare la causa idonea a giustificare la sanzione espulsiva, anche solo in uno dei fatti addebitati, se lo stesso presenti il carattere di grave inadempimento richiesto dall’art. 2119 c.c.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione nel cassare la sentenza di merito impugnata, ha affermato che lo svolgimento di attività extralavorativa durante l’orario di lavoro è astrattamente idoneo a ledere gli interessi del datore di lavoro in quanto le energie lavorative del prestatore vengono distolte ad altri fini e, quindi, non è giustificata la corresponsione della retribuzione che, in relazione alla parte di attività non resa, costituisce per il datore di lavoro un danno economico e per il lavoratore un profitto ingiusto.