Con sentenza n. 4223 del 21 febbraio 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che il licenziamento intimato ad un lavoratore intermittente o “a chiamata” al compimento dei venticinque anni non integra un atto di discriminazione in base all’età, trattandosi di una scelta che persegue una legittima finalità di politica del lavoro.
Nel caso di specie il lavoratore, assunto con contratto di lavoro intermittente e poi licenziato al raggiungimento del venticinquesimo anno di età, aveva impugnato il licenziamento in giudizio ritenuto discriminatorio.
La Suprema Corte, uniformandosi ai principi fissati dalla Corte di Giustizia Europea, ha stabilito che non vi è alcun contrasto tra la normativa italiana sul lavoro intermittente – che consente di concludere il relativo contratto con soggetti con meno di venticinque anni di età e di licenziarli al compimento del venticinquesimo anno – ed il divieto di discriminazione in base all’età sancito sia dall’art 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che dall’art. 6, n.1 della Direttiva 2000/78 CE.
La disparità di trattamento in base all’età, infatti, è giustificata dal perseguimento di legittimi obiettivi di carattere sociale, tra cui quello di favorire l’accesso dei giovani al mondo del lavoro e consentire loro di acquisire una professionalità tale da renderli concorrenziali sul mercato.