Legittimo il licenziamento del dirigente che ha tentato di acquisire in proprio la quota di una società concorrente

Con ordinanza n. 11172 del 6 aprile 2022, la Corte di Cassazione ha riconosciuto al dovere di fedeltà del dipendente un contenuto più ampio rispetto a quello desumibile dall’art. 2105 c.c., dovendo tale precetto integrarsi con il principio di correttezza e buona fede: il lavoratore, pertanto, è tenuto, non solo ad astenersi dai comportamenti espressamente vietati dall’art. 2105 c.c., ma anche da tutti quelli che appaiono in contrasto con i doveri connessi all’inserimento nell’organizzazione aziendale o che creano conflitti con le finalità/interessi dell’impresa o comunque idonei a ledere il presupposto fiduciario del rapporto stesso.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un dirigente che, all’insaputa del datore di lavoro, aveva condotto delle trattative – mai perfezionatesi – finalizzate all’acquisto in proprio di una partecipazione al capitale sociale di una società concorrente, operante nello stesso settore di mercato.

Nello specifico, la Corte di Cassazione ha dichiarato che il livello dirigenziale del lavoratore implicava una particolare pregnanza dell’obbligo di correttezza e buona fede esigibile dal medesimo, anche in considerazione dei possibili riflessi negativi per l’immagine della Società in caso di diffusione all’esterno della vicenda nella quale era stato coinvolto, nonché per l’obiettivo pericolo di condotte emulative da parte di altri dipendenti.