Con sentenza n. 26273 del 6 novembre 2017, la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui la giusta causa di licenziamento, è una nozione che la legge configura con una disposizione di carattere generico che richiede una specificazione in sede interpretativa, attraverso la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha riconosciuto il comportamento del ricorrente, ravvisato nelle minacce proferite al suo superiore gerarchico, come giusta causa di licenziamento ai sensi dell’art. 2119 c.c., evidenziando il clima di timore e turbamento tra il personale che ne era derivato e, quindi, assumeva rilevanza anche ai fini degli obblighi gravanti sul datore di lavoro ex art. 2087 c.c., di garantire l’integrità fisica e morale dei dipendenti e di assicurare la serenità dell’ambiente di lavoro.
Sempre in tema di licenziamento per giusta causa, la Corte di Cassazione con sentenza n. 26272 del 6 novembre 2017, ha stabilito che la giusta causa, sussiste anche in difetto di una specifica previsione ad opera delle parti collettive, atteso che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa, potendo sussistere la giusta causa anche nel caso di un grave inadempimento contrattuale ovvero per un grave comportamento del lavoratore contrario le norme dell’etica comune o del comune vivere civile.
Nel caso di specie, infatti, il Collegio giudicante ha ritenuto legittima la sanzione espulsiva nei confronti di un dipendente della Camera di Commercio per operazioni “anomale” generanti ammanchi contabili a danno dell’Ente, nonostante il CCNL di settore nulla prevedesse in tal senso.