In caso di illegittimità o insussistenza di un addebito disciplinare il datore di lavoro non può avvalersi della relativa contestazione

Con ordinanza n. 5485 del 1 marzo 2024, la Corte di Cassazione ha chiarito che, in tema di licenziamento disciplinare, la violazione del termine previsto dalla contrattazione collettiva, secondo cui come nel caso di specie, se il provvedimento disciplinare non viene emanato nei dieci giorni lavorativi successivi al quinto giorno dal ricevimento della contestazione, le giustificazioni si riterranno accolte, non integra una mera violazione di natura procedimentale, ma comporta la totale mancanza della giusta causa per effetto dell’ammissione del datore di lavoro dell’insussistenza della condotta illecita sanzionata; ne deriva che, in tale ipotesi, la tutela applicabile è quella di cui all’art.18, comma 4, della L. n. 300 del 1970 (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione).

Pertanto, per la Corte di Cassazione, il licenziamento in esame, al contrario di quanto affermato dalla Corte territoriale, doveva considerarsi non semplicemente inefficace per il mancato rispetto di un termine procedurale, bensì illegittimo per l’insussistenza del fatto contestato, per avere il datore di lavoro accolto le giustificazioni del dipendente e dunque per la totale mancanza della giusta causa.