Con sentenza n. 25084 del 10 ottobre 2018, la Suprema Corte ha ribadito il consolidato orientamento secondo cui la ricostituzione del rapporto di lavoro a seguito della declaratoria di nullità del termine deve avvenire negli esatti termini e condizioni in cui detto rapporto era sorto e si era svolto sino alla illegittima cessazione per la scadenza di un termine nullo. Ciò comporta, secondo la Corte, il reinserimento del lavoratore nella stessa posizione di lavoro e nello stesso luogo in cui tale prestazione veniva svolta. L’eventuale trasferimento può pertanto operarsi solo nel rispetto della norma di cui all’art. 2103 c.c., e dell’eventuale disciplina contrattuale collettiva che le parti contraenti si sono obbligate a rispettare. Pertanto, il datore di lavoro, ottemperando all’ordine di ripristino del rapporto, può certamente disporre un trasferimento di sede del lavoratore, sempre che ne sussistano le condizioni previste dalla normativa e comunque in applicazione dei più generali principi di correttezza di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c..
Nella fattispecie in esame, una addetta al servizio postale, successivamente alla sua riammissione in servizio, era stata trasferita dalla originaria sede di lavoro ad una diversa, con la giustificazione che la prima era stata soppressa, ma il datore di lavoro non era stato in grado di dimostrare l’impossibilità di un reimpiego della lavoratrice nella sua Regione di residenza come diversamente avvenuto per tutti i suoi colleghi in forza di precedente accordo sindacale che aveva disciplinato la ricollocazione del personale in servizio e di cui era destinataria anche la lavoratrice suddetta.