La Corte di Cassazione, con sentenza n. 10867 del 23 aprile 2021, ha affermato che il rifiuto della prestazione lavorativa può integrare una forma di autotutela solo a fronte di un inadempimento datoriale che comprometta i beni personali del lavoratore, quali la vita e la salute.
In tal caso, il lavoratore dovrà dimostrare quale sia la condotta del datore di lavoro che abbia messo a rischio la sua incolumità in modo irrimediabile. Tale circostanza non può configurarsi in caso di trasferimento di azienda, per comportamenti vessatori posti in essere dalla cedente.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato, quindi, la legittimità del licenziamento irrogato alla lavoratrice per essersi rifiutata, al rientro della maternità, di svolgere le nuove mansioni affidatele dalla società cessionaria, poiché i comportamenti vessatori subiti che, ad avviso della lavoratrice, avrebbero giustificato il rifiuto di svolgere le nuove mansioni, facevano riferimento al periodo in cui era dipendente presso la società cedente.