Con l’ordinanza n. 26671 del 22 ottobre 2018 la Corte di Cassazione ha statuito che, in caso di fallimento della società datrice di lavoro, il lavoratore, che ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro previa declaratoria giudiziale dell’illegittimità del licenziamento, deve ottenere non solo il ripristino del rapporto ma anche le utilità connesse alla ripresa della prestazione lavorativa, come i benefici previdenziali.
Nel caso in esame la Suprema Corte ha accolto il ricorso di una lavoratrice che chiedeva l’ammissione allo stato passivo di una società poiché, dopo il fallimento di quest’ultima, non aveva ricevuto la retribuzione ed era stata licenziata dalla curatela. La Corte ha precisato, inoltre, che in seguito alla dichiarazione di fallimento il rapporto di lavoro rimane sospeso e il curatore deve decidere se proseguire con esso ovvero sciogliersi dal medesimo. In quest’ultimo caso il curatore deve rispettare le norme limitative sui licenziamenti individuali e collettivi, restando esposto alle conseguenze patrimoniali in caso di licenziamento illegittimo.