Con sentenza n. 23686 del 19 novembre 2015, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza di merito con la quale era stato riconosciuto il carattere ingiurioso del licenziamento intimato alla lavoratrice, con conseguente risarcimento del danno biologico, ulteriore rispetto a quello forfetariamente previsto nell’art. 18, Legge n. 300/1970.
In particolare, i Giudici di legittimità, richiamando un consolidato principio giurisprudenziale, hanno affermato che il licenziamento ingiurioso o vessatorio, lesivo della dignità e dell’onore del lavoratore, che dà luogo al risarcimento del succitato danno biologico, ricorre soltanto in presenza di particolari forme o modalità offensive o di eventuali forme ingiustificate e lesive di pubblicità date al provvedimento, le quali vanno rigorosamente provate da chi le adduce, unitamente al lamentato pregiudizio.
Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha affermato che l’oggetto dell’accertamento dell’ingiuriosità o vessatorietà del recesso non risiede nell’illegittimità dello stesso, ma nelle sue modalità, con la conseguenza che l’eventuale danno (lesione dell’integrità psico-fisica) diventa conseguenza (non della perdita del posto di lavoro e della retribuzione, bensì) dello stesso comportamento (ingiurioso, persecutorio, vessatorio) con cui è stato attuato.