La Corte di Cassazione, con sentenza del 12 maggio 2015 n. 9623, in tema di demansionamento, ha affermato il diritto al risarcimento del danno biologico e morale a favore della dipendente, cui erano state affidate mansioni inferiori rispetto agli ordini di servizio e alla qualifica.
Nello specifico, la Suprema Corte ha respinto il ricorso proposto dal datore di lavoro, sottolineando il vano tentativo di quest’ultimo di sviare il thema decidendum della causa con lo sfruttare l’indiretta emersione in giudizio di un’ipotesi di “mobbing” e con il valorizzarla per ridurre la denunciata dequalificazione a mera componente di quella più ampia fattispecie, di per sé inidonea ad integrarne gli estremi, mentre l’accertamento dalla Corte territoriale atteneva univocamente alla verifica della ricorrenza del demansionamento denunciato dalla lavoratrice.
In sostanza, la Corte ha chiarito che la dequalificazione è in sé fatto illecito causativo di danno; pertanto, accertata la sua ricorrenza, la lavoratrice va risarcita appunto in quanto vittima di un trattamento arbitrario, tale da mortificarne la professionalità, a nulla rilevando l’assenza della prova di condotte “mobbizzanti” nei suoi confronti.