Nell’ambito di una controversia scaturita dalle contestazioni di alcuni dipendenti circa l’applicabilità nei loro confronti di un contratto collettivo aziendale con cui era stato ridotto l’orario di lavoro, la Suprema Corte, con la sentenza n. 16089 del 15 luglio 2014, cassando con rinvio la precedente decisione di appello, ha statuito che “la regola secondo cui i contratti o gli accordi collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti (con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo medesimo e potrebbero addirittura essere vincolati ad un accordo sindacale separato e diverso) non vale nell’ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno in rapporto a tempo parziale ai sensi del Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5, in quanto tale trasformazione (seppure prevista da un contratto collettivo aziendale come strumento alternativo alla collocazione in mobilità) non può avvenire a seguito di determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma necessita in ogni caso del consenso scritto del lavoratore, il cui rifiuto della trasformazione del rapporto non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.
Conseguentemente, in considerazione dell’avvenuta riduzione nel caso di specie dell’orario di lavoro in assenza dell’espresso consenso dei lavoratori interessati, non è stato ritenuto applicabile il principio di diritto per cui l’adesione degli interessati – iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti – ad un contratto o accordo collettivo può essere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quando possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole.