In tema di risarcimento del danno in favore degli eredi, con sentenza del 13 maggio 2014 n. 9945, la Corte di Cassazione ha affermato la responsabilità del datore di lavoro per la morte di un suo dipendente da “super lavoro”. Infatti, il dipendente, nella specie un quadro, lavorava intensamente, portandosi anche il lavoro a casa, pur di raggiungere gli obiettivi che il suo datore gli aveva assegnato. L’impegno lavorativo secondo una media di undici ore al giorno lo aveva poi portato al decesso per infarto del miocardo.
La Suprema Corte si è così pronunciata per la responsabilità dell’azienda ex art. 2087 c.c. per il decesso del lavoratore in quanto il datore di lavoro non può sottrarsi agli addebiti per gli effetti lesivi della integrità fisica e morale dei lavoratori che possano derivare dalla inadeguatezza della distribuzione del lavoro adducendo l’assenza di doglianze mosse dai dipendenti.
Più in particolare, il datore non può, infatti, sostenere di ignorare le particolari condizioni di lavoro in cui le mansioni affidate ai lavoratori vengano in concreto svolte, dovendosi presumere, salvo prova contraria, la conoscenza da parte dell’azienda, delle modalità attraverso le quali ciascun dipendente svolge il proprio lavoro, in quanto espressione ed attuazione concreta dell’assetto organizzativo adottato dall’imprenditore con le proprie direttive e disposizioni interne.