La Corte di Cassazione con sentenza n. 6047 depositata in il 14 marzo 2014 ha affermato che l’art. 4 della legge 108/1990, che esclude l’applicabilità dell’art. 18 dello Statuto Lavoratori ai “prestatori di lavoro ultrasessantenni, in possesso dei requisiti pensionistici” sempre che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima o per incrementare la propria anzianità contributiva e comunque non oltre il compimento del sessantacinquesimo anno di età, si riferisce evidentemente al pensionamento di vecchiaia, unica ipotesi che consente al datore di lavoro il recesso ad nutum per superamento dei limiti di età.
La Corte ha infatti escluso che la libera recedibilità sussista in tutti i casi in cui ricorrano i requisiti necessari a ottenere un qualunque trattamento pensionistico ed è pertanto nulla, perché in contrasto con la norma richiamata, qualsiasi previsione collettiva che preveda la possibilità per l’azienda di recedere liberamente dal rapporto di lavoro con un lavoratore che abbia compiuto i 60 anni di età ed abbia raggiunto determinati requisiti contributivi.
Infatti, secondo i Giudici di legittimità, “la salvezza dell’ipotesi dell’esercizio dell’opzione (ndr. prevista nell’art. 4 l. 108/1990) per la prosecuzione del rapporto lascia agevolmente comprendere che il riferimento non può che essere ai requisiti del pensionamento per vecchiaia poiché solo in presenza di detti requisiti il lavoratore ha l’onere di impedire la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro, entro un termine di decadenza che decorre appunto con riferimento alla data del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia comunicando la sua decisione di continuare a prestare la sua opera fino al raggiungimento dell’anzianità contributiva massima utile ovvero per incrementare tale anzianità fino al compimento del sessantacinquesimo anno di età”.