Il Tribunale di Milano – con ordinanza emessa il 16 ottobre 2014 – ha affermato che l’attivazione della procedura di conciliazione preventiva prevista dall’art. 7, L. n. 604/66 e s.m.i., per almeno cinque lavoratori nell’arco di 120 giorni, nell’ambito di un “disegno unitario o di una medesima riorganizzazione” aziendale, determina l’illegittimità dei licenziamenti successivamente intimati, a prescindere dal numero di questi ultimi, in quanto, nella fattispecie, avrebbe dovuto farsi applicazione delle procedure di licenziamento collettivo di cui all’art. 24, L. n. 223/91 (applicabili alle imprese con più di 15 dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni).
Ad avviso dei Tribunale di Milano, infatti, anche se i licenziamenti effettivamente intimati non superino la soglia prevista dalla suddetto L. n. 223/1991, ai fini dell’applicabilità della procedura di licenziamento collettivo ciò che rileva è l’intenzione di effettuare almeno cinque licenziamenti nell’arco di 120 giorni, come nel caso di specie documentato dalle comunicazioni aziendali prodotte in giudizio.
Con la succitata ordinanza, il Tribunale ha, infine, chiarito che l’omissione delle procedure ex L. n. 223/1991 deve intendersi “assimilabile alla violazione dei criteri di scelta del personale da licenziare (…) in quanto incide sotto un profilo sostanziale sulla legittimità del licenziamento”, così da rendere applicabile la sanzione di cui all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970, come modificato dalla L. n. 92/2012. Conseguentemente, l’azienda convenuta è stata condannata alla reintegra del lavoratore nel posto di lavoro ed alla corresponsione, a titolo risarcitorio, di una indennità pari alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento sino all’effettiva reintegra.