Onere della prova in materia di mobbing

Con sentenza n. 2 del 14 gennaio 2014, il Tribunale di Milano, rifacendosi al consolidato orientamento della Suprema Corte in ordine alla ripartizione dell’onere probatorio in tema di mobbing, ha rigettato il ricorso di una lavoratrice che, richiamando circostanze giudicate “oltremodo generiche o valutative”, aveva affermato apoditticamente di aver patito un progressivo svuotamento delle proprie mansioni e diverse vessazioni espressive di un disegno persecutorio da parte dei responsabili aziendali.


In particolare, il Giudice – dopo avere affermato che il mobbing sussiste solo nel caso di una molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento persecutorio – ha evidenziato come, della sussistenza di tali presupposti, non vi fosse nel caso di specie “prova alcuna poiché mancano quelle circostanze puntuali, quegli episodi specifici che, ove collegati fra loro da un intento persecutorio e lesivo, potrebbero portare all’accertamento della sussistenza di un comportamento mobbizzante o, più in generale, vessatorio”.