Con sentenza n. 17010 del 25 luglio 2014 la Corte di Cassazione ha preso nuovamente posizione sul tema della possibilità di limitare il diritto di recesso del lavoratore, ribadendo la piena ammissibilità di una limitazione temporale, convenuta tra le parti, di tale diritto nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La Suprema Corte, infatti, nel rigettare le deduzioni del lavoratore secondo cui una simile clausola sarebbe nulla ed inefficace in quanto inciderebbe direttamente non solo sulla libertà di contrattare, ma anche sulla libertà di lavorare, ponendosi così in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico, ha ribadito l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “nessun limite è infatti posto dalla legge all’autonomia privata per quanto attiene alla facoltà di recesso dal rapporto attribuita al lavoratore, di cui egli può liberamente disporre pattuendo una garanzia di durata minima del rapporto, che comporti, fuori dell’ipotesi di giusta causa di recesso di cui all’art. 2119 c.c., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del periodo minimo di durata del rapporto (detta garanzia è analoga a quella destinata ad operare nel contratto di lavoro a tempo determinato, che consente il recesso anticipato del dipendente solo per giusta causa); né può certamente prospettarsi, in relazione alle clausole pattizie che regolano l’esercizio della facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato, una limitazione della libertà contrattuale del lavoratore, in violazione della tutela assicurata dai principi dell’ordinamento”.