Confermando il proprio costante orientamento, la Suprema Corte, con sentenza n. 13112 dell’11 giugno 2014, ha affermato che deve intendersi in capo al datore di lavoro, “che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato”, l’onere di provare che, al momento del licenziamento, non sussisteva alcuna posizione analoga a quella soppressa a cui avrebbe potuto essere assegnato il lavoratore licenziato per l’espletamento di mansioni equivalenti a quelle svolte, nonché di non avere effettuato nuove assunzioni per qualifiche analoghe a quella del lavoratore licenziato per un congruo periodo di tempo successivo al recesso.
Nel caso di specie, è stata pertanto confermata l’illegittimità dei licenziamenti individuali per motivo oggettivo intimati da un’associazione di tendenza senza curarsi dell’esatta individuazione della posizione lavorativa da sopprimere, né della verifica dell’impossibilità del cd. “repechage”.