La Corte di Cassazione, con sentenza n. 11067 del 28 maggio 2015, ha ribadito la distinzione tra le nozioni di giusta causa e giustificatezza del licenziamento del dirigente, distinguendo le relative conseguenze. In particolare, la giusta causa si sostanzia in un inadempimento grave del dipendente, che impedisce la prosecuzione anche solo temporanea del rapporto di lavoro e giustifica la risoluzione senza il rispetto del periodo di preavviso e senza il pagamento della relativa indennità. La giustificatezza, invece, che è nozione molto più ampia e che ricomprende ogni motivo di recesso (con l’esclusione della mera arbitrarietà e del divieto di licenziamento discriminatorio), giustifica il recesso nel rispetto del periodo di preavviso o del pagamento della relativa indennità sostitutiva.
In entrambi i casi, tuttavia, il datore di lavoro non deve pagare l’indennità supplementare prevista dalla contrattazione collettiva, che è, invece, dovuta solo nel caso in cui il licenziamento non sia sorretto né da giusta causa né sia in alcun modo giustificato.
Nella specie, la Corte Suprema ha dichiarato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dirigente che, in veste di Direttore Generale, aveva posto in essere reiterati comportamenti ostruzionistici in relazione alla richiesta, da parte del Consiglio di Amministrazione, di ottenere un budget dettagliato ai fini del controllo sulla gestione della spesa in relazione alle iniziative programmate e che si era discostato vistosamente, nello svolgimento dei propri compiti di impulso dell’attività aziendale, dalle linee guida dettate dal medesimo Consiglio (nella specie il dirigente aveva garantito aumenti ad personam senza motivarli in modo oggettivo, come invece richiesto dal CdA, e si era rifiutato di sottoscrivere fatture per attività già fornite alla società paralizzando così l’attività aziendale).