La Corte di Cassazione, con sentenza del 6 ottobre 2015 n. 19930, ha ribadito che il cd. patto di demansionamento, espressamente accettato dal lavoratore, è da ritenersi legittimo se finalizzato ad evitare il licenziamento.
Nella fattispecie, un lavoratore, a seguito della soppressione del proprio posto di lavoro ed al suo conseguente rifiuto di trasferirsi ad altra unità produttiva, distante oltre 150 Km dalla precedente, accettava di svolgere mansioni inferiori a quelle per le quali era stato assunto. Lo stesso lavoratore successivamente presentava ricorso sostenendo l’illegittimità del proprio demansionamento per violazione dell’art. 2103 c.c., chiedendo il risarcimento dei danni per avvenuta dequalificazione.
I Giudici hanno riconosciuto la piena validità del cd. patto di demansionamento in presenza di obiettive ragioni aziendali atteso che l’adibizione del lavoratore a mansioni inferiori a quelle precedentemente svolte non si pone in contrasto con il dettato codicistico se essa rappresenti l’unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
In materia di jus variandi appare utile ricordare come, a seguito dell’introduzione del D.lgs. n. 81/2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015, sia stato significativamente novellato l’art. 2103 c.c., come già evidenziato nelle nostre precedenti news, così da rendere meno stringenti per il datore di lavoro i vincoli connessi al rispetto delle mansioni precedentemente svolte dal lavoratore.