In una fattispecie in cui la Corte di Appello di Messina, confermando la decisione di primo grado, aveva rigettato la domanda proposta da un dipendente di un’azienda, volta ad ottenere la qualifica di dirigente nonché la condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive, la Suprema Corte, con sentenza n. 12356 del 3 giugno 2014, ha ritenuto corrette le argomentazioni della Corte di merito secondo cui il ricorrente non si trovava in una posizione di piena ed ampia autonomia, essendo sottoposto alle direttive di altri dirigenti, né era investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza, poteri di iniziativa e discrezionalità, gli consentivano di imprimere un indirizzo sugli obiettivi complessivi dell’impresa, assumendo le corrispondenti responsabilità.