Con sentenza n. 23671 del 6 novembre 2014, la Suprema Corte ha statuito che “costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo”. Ad avviso della Corte, al fine di valutare l’ammissibilità e rilevanza delle prove offerte dal dipendente che si dichiari vittima di tali comportamenti, è necessaria una disamina complessiva delle prove, al fine di verificare se l’insieme delle circostanze è idoneo alla dimostrazione della fattispecie sia sotto il lato oggettivo che soggettivo.
Nel caso di specie, i Giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso del lavoratore dirigente, in quanto i comportamenti posti in essere dal datore di lavoro nei suoi confronti non avevano contenuto vessatorio e “mobbizzante”, ma avevano ad oggetto solo lamentele di disfunzioni o irregolarità a lui imputabili.