Con sentenza del 13 febbraio 2014 (Causa C-596/2012), la Corte di Giustizia ha condannato l’Italia per essere venuta meno agli obblighi di corretto recepimento della direttiva n. 98/59/CE del 20 luglio 1998 circa il ravvicinamento delle legislazione degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. Nonostante, infatti, l’ambito di applicazione di quest’ultima direttiva debba intendersi esteso a tutti i lavoratori senza eccezione alcuna, il legislatore nazionale, in virtù di quanto previsto agli artt. 4 e 24 della L. n. 223/1991, ha escluso i dirigenti dall’applicazione della disciplina interna in materia di gestione dei licenziamenti collettivi e dalle connesse tutele. La Corte di Giustizia, inoltre, non ha ritenuto rilevanti le difese avanzate dall’Italia circa la sussistenza nel nostro ordinamento di previsioni di legge e di contrattazione collettiva tali da garantire ai dirigenti tutele di carattere economico in caso di licenziamento, dal momento che la finalità della suddetta direttiva, laddove individua per i datori di lavoro un obbligo di procedere in tempo utile a consultazioni con i rappresentanti dei lavoratori, è quella di evitare o ridurre i licenziamenti collettivi, a prescindere dunque “dalle misura sociali di accompagnamento che siano previste in loro favore per attenuare le conseguenze di un licenziamento collettivo”.