La Corte di Cassazione, con sentenza n. 14457 del 9 giugno 2017, ha accolto il ricorso di una Società teso all’accertamento della legittimità della “clausola di stabilità” pattuita nell’interesse del datore di lavoro, affermando che la retribuzione complessiva indicata nel contratto, essendo adeguatamente superiore al “minimo costituzionale”, ben poteva ricomprendere una maggiorazione legata e proporzionata al sacrificio assunto dal lavoratore consistente in una limitazione, per un tempo determinato, della sua libertà di recesso dal rapporto.
Da ciò consegue, secondo la Suprema Corte, che il dirigente che eccepisca il mancato pagamento di un corrispettivo per il patto di stabilità, ovvero che si rifiuti, per la medesima ragione, di pagare la penale concordata, non può limitarsi ad allegare l’assenza di una pattuizione espressa che disponga una controprestazione per l’accettazione di tale condizione, ma dovrà, inoltre, provare che la stessa non è assorbita nella retribuzione complessiva.