La Suprema Corte con la sentenza n. 20616 del 22 settembre 2006, confermando il principio ribadito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 6572 del 26 marzo 2006, secondo il quale il danno da demansionamento non è conseguenza automatica del comportamento illegittimo del datore di lavoro ma deve essere oggetto di specifica allegazione e prova, ha statuito che potesse ricavarsi, in via presuntiva, sulla base di un complesso univoco di elementi, la sussistenza di un danno da demansionamento per un dirigente. In particolare, ha ribadito la Corte, la condizione di totale e repentina inattività cui era stato costretto un dirigente in posizione apicale, con susseguente licenziamento, non poteva non aver cagionato al lavoratore, secondo l’id quod plerumque accidit, un’apprezzabile lesione alla professionalità e dignità dello stesso, da intendersi quali beni immateriali inerenti l’esplicazione della personalità sul luogo di lavoro, suscettibili pertanto di risarcimento da quantificarsi con valutazione in via equitativa. Erano al contrario da escludersi, in quanto non provati, il danno da perdita di chances o altre lesioni alla integrità psicofisica del lavoratore.