Con sentenza n. 836 del 27 gennaio 2015, il Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, ha statuito che qualora un lavoratore sostenga in giudizio “che dalla dimostrata retrocessione o dalla forzata inattività ha tratto un danno all’immagine professionale nella cerchia dei colleghi, o anche soltanto una sofferenza personale sul piano morale, o una lesione della propria dignità ed onore”, deve ritenersi soddisfatto il relativo onere di allegazione o la prova presuntiva del danno medesimo, con conseguente diritto al relativo risarcimento.
Nel caso di specie, a seguito di alcuni contrasti interni sorti tra il lavoratore ed un suo superiore, il primo era stato privato del suo ruolo di coordinatore del reparto tecnologico ed assegnato, in qualità di semplice addetto, ad un progetto privo di implicazioni informatiche.
Il Giudice del Lavoro ha ravvisato in tale assegnazione gli elementi della vessatorietà e del demansionamento condannando, pertanto, la società a reintegrare il lavoratore nelle sue precedenti mansioni ed al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno morale e all’immagine patito dal dipendente.