Con sentenza n. 6943 dell’11 marzo 2020, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla compatibilità dell’indennità di mobilità, di cui all’art. 7 della legge n. 223 del 23 luglio 1991, applicabile ratione temporis, con lo svolgimento di lavoro autonomo. Dopo aver richiamato alcuni suoi precedenti, con i quali ne aveva sancito l’incompatibilità, in ragione del fatto che gli introiti provenienti dall’attività di lavoro autonomo comportassero la cessazione dello stato di bisogno connesso alla disoccupazione involontaria, se ne è discostata, alla luce delle peculiarità del caso concreto.
Nel caso in esame, difatti, la Suprema Corte ha ritenuto sussistente il diritto del lavoratore ad essere iscritto nelle liste di mobilità e a percepire la relativa indennità, in quanto il medesimo, già durante lo svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, prestava attività di lavoro autonomo con esso compatibile (nello specifico, amministratore di s.p.a.), poi proseguita anche dopo il collocamento in mobilità. Secondo la Suprema Corte infatti, la perdita del reddito percepito prima del licenziamento giustifica l’applicabilità dell’ammortizzatore sociale in questione e l’iscrizione nelle liste di mobilità rappresenta un’agevolazione per il reingresso nel mondo del lavoro spettante anche al lavoratore licenziato con tali modalità.