La Suprema Corte con la sentenza n. 21287 del 2 ottobre 2006, ha statuito, con riferimento ad una fattispecie ante riforma ex D.Lgs. 276/2003, che un impresa che intenda dismettere la gestione diretta di alcuni segmenti dell’attività produttiva e dei servizi estranei al proprio core business, fenomeno meglio noto come “outsourcing”, possa realizzare tale attività sia attraverso l’istituto dell’appalto dei servizi ex art. 1655 c.c., sia tramite trasferimento di ramo d’azienda ex art. 2112 c.c.. Nel ribadire il principio secondo cui per ramo d’azienda si debba intendere l’entità aziendale dotata prima del trasferimento di autonoma ed unitaria organizzazione, e che conservi la propria identità successivamente al trasferimento, la Corte ha ritenuto, nel caso di specie, che le parti avessero stipulato un legittimo contratto di appalto di servizi per opere di manutenzione edili all’interno dello stabilimento della committente, in ossequio all’art. 3 Legge 1369/1960, senza alcun intento elusivo, di tal guisa che non potesse concretizzarsi alcuna cessione di ramo d’azienda in capo alla committente. In particolare, la Corte ha negato che la risoluzione del contratto di appalto potesse avere come conseguenza giuridica la retrocessione alla committente di un ramo d’azienda che non era mai stato ceduto, non potendosi configurare una reinternalizzazione di servizi che contrariamente a quanto sostenuto dai lavoratori erano stati dati in appalto ex art. 1655 c.c..