La Suprema Corte, con sentenza n. 6165 del 30 marzo 2016, nello statuire l’illegittimità di un licenziamento disciplinare, ha chiarito che le tipizzazioni degli illeciti disciplinari previsti dalla contrattazione collettiva, rappresentano le valutazioni che le parti sociali hanno fatto in ordine alla gravità di determinati comportamenti rispondenti a canoni di normalità. Da ciò ne consegue che il datore di lavoro non può irrogare la sanzione espulsiva quando questa costituisca una sanzione più grave di quella prevista dal contratto collettivo in relazione ad una determinata infrazione.
Nel caso di specie, il lavoratore aveva pronunciato al datore di lavoro una frase dal seguente tenore “qua dentro mi sto zitto ma fuori parliamo da pari a pari”; tuttavia, il dipendente non dava seguito alle vie di fatto. Ad avviso dei Giudici di legittimità, quindi, nel caso in esame, non poteva ritenersi realizzata la fattispecie tipizzata nel contratto collettivo del diverbio litigioso seguito da vie di fatto.
La Suprema Corte ha, altresì, chiarito che la gravità dell’illecito non può essere commisurata unicamente in ordine ai precedenti disciplinari del lavoratore, poiché questi costituiscono soltanto uno dei parametri di valutazione e, pertanto, non possono essere utilizzati per dare concretezza ad un addebito del tutto inidoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento.