Con sentenza n. 7308 del 24 marzo 2018 la Corte Suprema ha statuito l’ammissibilità allo stato passivo dei crediti retribuitivi derivanti dall’illegittimità del licenziamento ancorché il rapporto di lavoro, fino alla data di risoluzione del rapporto da parte del Curatore, fosse sospeso ai sensi dell’art. 72 Legge Fallimentare.
Nella specie, la Corte di legittimità, ha rilevato che “Fino al compimento della scelta prevista dall’art. 72 L.F. il rapporto pendente, privo di bilaterale esecuzione, è in una fase di sospensione ed il curatore esercita una facoltà espressamente prevista dalla legge, per cui alcun inadempimento è a lui imputabile, fatta salva l’actio interrogatoria del lavoratore o eventuali azioni di questi per il risarcimento del danno causato dall’inerzia colpevole del curatore, sempre che ne ricorrano i presupposti di diritto comune fatti valere con adeguata domanda (evenienze non verificatesi nella specie). Successivamente, una volta che la scelta di sciogliersi dal rapporto di lavoro pendente è stata effettuata dal curatore […]la curatela è soggetta al principio, valido per ogni datore di lavoro, secondo cui nell’ipotesi di licenziamento illegittimo il legislatore ha inteso attribuire diritti retributivi al lavoratore malgrado la non avvenuta prestazione lavorativa, prevedendo analiticamente il risarcimento del danno commisurato alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione (secondo la formulazione dell’art. 18, I. n. 300 del 1970 vigente all’epoca dei fatti), e ciò in ragione del fatto che nel caso di licenziamento illegittimo l’equiparazione della mera utilizzabilità delle energie lavorative del prestatore alla loro effettiva utilizzazione consegue, oltre che alla ricostituzione del rapporto e al ripristino della lex contractus, all’accertamento giudiziale dell’illegittimità del comportamento datoriale, e cioè dell’imputabilità al datore di lavoro della mancata prestazione lavorativa”.