Con sentenza n. 39699 del 13 dicembre 2021, in materia di licenziamenti effettuati in pendenza della procedura fallimentare, la Corte di Cassazione ha innanzitutto ribadito il principio per il quale il fallimento non è idoneo a determinare ex se lo scioglimento del rapporto di lavoro atteso che alla dichiarazione di fallimento, l’art. 72 L. Fall. fa conseguire solamente la sospensione degli effetti del contratto di lavoro in attesa della successiva dichiarazione del Curatore Fallimentare.
Il Curatore, nella scelta di proseguire o meno il rapporto lavorativo resta vincolato dagli stessi vincoli imposti in via generale ai datori di lavoro, e conseguentemente, in caso di licenziamento illegittimo, la curatela rimane sottoposta alle medesime conseguenze derivanti in via ordinaria dall’esercizio illegittimo del potere di recesso, pur compatibilmente con lo stato dell’impresa determinato dal fallimento.
In particolare, in caso di fallimento il lavoratore conserva l’interesse alla reintegra nel posto di lavoro: l’oggetto di tale pronuncia non si limita infatti al ripristino della prestazione lavorativa, che potrebbe essere impossibile al momento della pronuncia, ma estende i suoi effetti anche alla possibilità della ripresa dell’attività lavorativa (in caso di cessione in blocco dell’azienda, o di ripresa dell’attività del fallito a seguito di concordato) ed all’ammissione ai benefici previdenziali, come l’indennità di disoccupazione, di Cassa Integrazione o di mobilità.
In ultimo, la Corte ricorda come, nel periodo ricompreso tra la data dell’illegittimo licenziamento e quella della sentenza che dispone la reintegra, rimangono in essere il rapporto assicurativo previdenziale ed il relativo obbligo in capo al datore di corrispondere all’Ente previdenziale i contributi assicurativi dovuti, anche in assenza di retribuzione.