Con sentenza n. 4589 del 26 febbraio 2014, la Suprema Corte ha ribadito che nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata una chiara e comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo.
Grava sul datore di lavoro, che eccepisce la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze delle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certe delle parti di voler porre fine ad ogni rapporto di lavoro. I Giudici di legittimità hanno altresì escluso che la percezione del TFR, solitamente corrisposto contestualmente all’ultima retribuzione dalla quale era difficilmente scorporabile e le prestazioni, sempre a tempo determinato, fornite nelle more a favore di altri datori di lavoro giustificabili per esigenze alimentari, possano costituire elementi idonei a provare l’univoca volontà del lavoratore di risolvere il rapporto di lavoro.