Con sentenza n. 28117 del 17 dicembre 2013, la Suprema Corte, richiamando il proprio consolidato orientamento, ha precisato che “l’eventuale risoluzione del rapporto per mutuo consenso va accertata con particolare rigore e, ove non contenuta in un atto formale, deve risultare da un comportamento inequivoco che evidenzi il completo disinteresse di entrambe le parti alla prosecuzione del rapporto stesso, essendo a tal fine prive di univoco valore sintomatico in tal senso, oltre all’illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di attività lavorativa, nonché la restituzione del libretto di lavoro al lavoratore e le stesse circostanze del versamento e dell’accettazione senza riserva, da parte del medesimo, di competenze economiche”, tra cui il trattamento di fine rapporto. Nel caso di specie, sebbene fossero trascorsi circa sei anni tra la conclusione del contratto di lavoro a tempo determinato e l’impugnazione dell’apposizione del termine da parte del lavoratore, non era risultata in alcun modo provata la sussistenza di una “chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo”.