Con sentenza n. 471 del 13 gennaio 2014, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo cui, ai fini della legittimità del licenziamento per scadenza del periodo di comporto, tale motivazione potrà essere addotta dal datore di lavoro non specificando le singole assenze senza per ciò violare il principio di immodificabilità della contestazione, con ciò riconoscendo la diversità sostanziale esistente tra la contestazione che precede il licenziamento disciplinare e la comunicazione di licenziamento per superamento del comporto.
Al riguardo, la Suprema Corte ha puntualizzato come il “licenziamento per superamento del periodo di comporto non sia equiparabile – anche per quanto riguarda la contestazione – al licenziamento disciplinare dal momento che, mentre quest’ultimo ha ad oggetto un addebito da contestare sul piano oggettivo e su quello soggettivo (colpa o dolo), il primo è relativo ad un condotta che attiene ad un fatto oggettivo e precisamente al mero computo delle assenze del lavoratore”.
Nella stessa decisione, la Suprema Corte, pronunciandosi in materia di risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro, ha ancora chiarito che il decorso del tempo non è di per sé sufficiente a far ritenere la risoluzione del rapporto, gravando sul datore di lavoro l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di voler porre definitivamente fine a ogni rapporto di lavoro. In tema, la Corte ha precisato che “è quindi necessario per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso che il decorso del tempo sia accompagnato da ulteriori circostanze oggettive le quali, per le loro caratteristiche di incompatibilità con la prosecuzione del rapporto, possano essere complessivamente interpretate nel senso di denotare una volontà chiara e certa delle parti di volere, d’accordo tra loro, porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo”.