Con sentenza n. 17303 del 24 agosto 2016, la Corte di Cassazione, in merito all’indennità di disoccupazione (ora c.d. Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego ovvero NASpI), ha illustrato la portata dell’art. 34, comma 5, l. 448/1998, a mente del quale “La cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni non dà titolo alla concessione della indennità di disoccupazione”.
La Corte, sulla scorta del principio in base al quale l’indennità in oggetto viene erogata al lavoratore solo in caso di sua disoccupazione “involontaria” e non spontanea, ha affermato che “la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è sostanzialmente equiparabile alle dimissioni, nessuna differenza concettuale sussistendo fra la dichiarazione di volontà con cui il lavoratore pone unilateralmente fine al rapporto di lavoro e quella destinata a confluire, in uno con la speculare dichiarazione del datore di lavoro, nell’accordo relativo ad un contratto di transazione”. Inoltre, la Corte ha precisato che “in assenza di prova in concreto di una giusta causa di dimissioni” o di risoluzione consensuale, “nessun diritto al trattamento di disoccupazione può pretendere il lavoratore che sia unilateralmente receduto dal rapporto o vi abbia comunque posto negozialmente (e dunque volontariamente) fine”, a meno che non si dimostri l’esistenza di cause che rendevano impossibile proseguire il rapporto.
Nella fattispecie la Corte ha escluso che si potesse ravvisare una siffatta giusta causa di recesso (e, dunque, l’involontarietà della disoccupazione) nell’impossibilità asserita dal lavoratore di progredire in carriera e di crescere professionalmente in conseguenza della chiusura del reparto di cui egli era responsabile, trattandosi di aspettative di mero fatto e, pertanto, non aveva diritto a percepire la relativa indennità di disoccupazione.