Con sentenza n. 15989 del 1 agosto 2016, la Corte di Cassazione ha escluso che nel nostro ordinamento sussista un divieto assoluto, per il lavoratore assente per malattia, di prestare, durante tale assenza, un’attività lavorativa in favore di terzi, “purché questa non evidenzi o una (i) simulazione di infermità, ovvero importi (ii) violazione al divieto di concorrenza, ovvero ancora, (iii) compromettendo la guarigione del lavoratore, implichi inosservanza al dovere di fedeltà imposto al prestatore d’opera”.
Ad avviso della Corte, infatti, si può configurare una giusta causa di licenziamento per grave abuso, da parte del lavoratore, delle norme relative al trattamento di malattia, solo ove sia stato provato che lo stesso abbia simulato la malattia per assentarsi in modo da poter espletare un lavoro diverso o abbia lavorato durante l’assenza con altre imprese concorrenti o abbia compromesso la propria guarigione in danno del proprio datore di lavoro, “anziché collaborare al recupero della salute per riprendere al più presto la propria attività lavorativa”.